Che cosa ricordi di più del ultimo ultimo viaggio? Secondo una ricerca condotta da GfK per Swiss Air, il 46,4% dei viaggiatori cita le relazioni umane. Poi vengono il cibo, i colori, gli odori. Non la pagina di prenotazione. Non un chatbot. Eppure nel turismo oggi parliamo sempre più spesso di tecnologia, automazione, intelligenza artificiale. Nel mio intervento al BTO 2024, ho provato a rispondere a una domanda cruciale: è possibile usare l’AI per rendere le destinazioni più umane, non meno?
Questo post è il mio debrief. Una riflessione aperta, che parte dai dati, passa dalle esperienze e arriva a una proposta concreta: un modello ibrido in cui AI e creatività umana lavorano insieme.
La scintilla: perché parlare di AI al BTO
Tutto è iniziato con un messaggio LinkedIn, come succede spesso ormai. Poi l’idea di un intervento che non fosse né troppo tecnico né troppo astratto, ma radicato in un’esperienza concreta: la mia, di professionista della comunicazione che lavora ogni giorno tra parole, persone e piattaforme.
Ho deciso di parlare di AI partendo da dove tutto ha avuto inizio per me: l’accessibilità e l’usabilità dei siti web. Perché? Perché credo che l’AI debba servire le persone. E questo, nel turismo, significa anche relazioni.
La promessa (e i limiti) dell’AI nel turismo
L’intelligenza artificiale è già ovunque. Dalle previsioni del tempo ai suggerimenti di viaggio, dai chatbot agli assistenti vocali. Secondo il “Changing Traveller Report 2025” di SiteMinder, il 78% dei viaggiatori è aperto all’uso dell’AI per migliorare la propria esperienza. Ma secondo lo studio globale “What Consumers Really Think About AI“, il 31% teme che peggiori le relazioni tra le persone. E un altro 33% pensa che non potrà mai conoscere davvero i propri gusti come un essere umano. Nel turismo, questo crea una frattura. Da una parte l’efficienza, la personalizzazione, la scalabilità. Dall’altra la relazione, l’empatia, la connessione umana.
L’AI può dirti dove andare. Ma non ti fa sentire a casa
Ho messo a confronto due risposte alla stessa domanda: “Cosa posso fare la sera coi bambini in zona?”. Una risposta arriva da ChatGPT, l’altra da un concierge in carne e ossa. Spoiler: nessuna delle due è sbagliata. Ma solo una coglie davvero la richiesta emotiva nascosta dietro alla domanda. Questo esempio, semplice ma reale, è servito per spiegare una cosa: oggi l’AI può dirti dove andare, ma non può ancora farti sentire a casa.
Non c’è AI senza empatia
Nel turismo, le relazioni fanno la differenza. Il 48% dei viaggiatori italiani torna in una struttura per la qualità dello staff. E il 26% non vuole delegare all’AI neppure il check-in. Ecco perché nel mio intervento ho detto una cosa semplice: non c’è AI senza empatia. L’AI può automatizzare, semplificare, suggerire. Ma sono le persone a creare esperienze memorabili. E nei momenti critici, è la presenza umana a fare la differenza.
Un modello ibrido: AI e umanità, insieme
Come possiamo integrare questi due mondi? Attraverso un modello ibrido di comunicazione turistica, in cui l’AI raccoglie dati, automatizza processi, personalizza le offerte; l’essere umano accoglie, interpreta, connette. Questo significa:
- Definire chi fa cosa: quali compiti spettano all’intelligenza artificiale, quali all’intelligenza umana.
- Usare i dati per formare il personale, non per sostituire le persone.
- Evitare contenuti vuoti e puntare su una narrazione coinvolgente.
- Personalizzare senza manipolare.
Serve un approccio adattivo, che cambia col tempo e con i bisogni. Ma è la strada giusta per costruire un turismo che resta.
Verso un turismo più autentico
Il turismo non è solo una questione di numeri e itinerari. È fatto di momenti, di incontri, di trasformazioni. E l’intelligenza artificiale, se ben progettata e ben integrata, può essere una potente alleata. Ma non basta. Servono persone che sanno raccontare, accogliere, ascoltare.
L’AI abilita. L’uomo connette.
Questo è il futuro che immagino. E in cui voglio lavorare, ogni giorno.